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Il presente volume si snoda su binari differenti e paralleli. Nel primo capitolo vengono presentate alcune questioni filologico-linguistiche alla luce dei cambiamenti radicali che caratterizzarono l'Unione Sovietica nei primi decenni del XX secolo, a cavallo della cesura epocale rappresentata dalla rivoluzione, o colpo di stato, dell'ottobre del 1917. Vi si cerca di mettere in rilievo il contributo del pensiero linguistico russo - e slavo - allo sviluppo della disciplina e, nel contempo, il dilemma della contrapposizione ideologico-epistemologica fra Europa occidentale ed Europa orientale. Il secondo capitolo ha come protagonista eponimo una figura piuttosto controversa della linguistica sovietica, Nikolaj Jakovlevic? Marr, che negli ultimi anni è tornato in auge, non solo come esempio emblematico di perversione ideologica, con il conseguente recupero di alcuni frammenti del suo pensiero non lineare. Il terzo e ultimo capitolo riprende il tema del rapporto fra ideologia e scienza, applicato all'ambito degli studi linguistici e filologici in Unione Sovietica: vi si propone un confronto fra la posizione a lungo indiscussa di Marr come promotore di un nuovo indirizzo linguistico e la figura quasi ieratica di Dmitrij Sergeevic Lichacëv, corifeo degli studi medievistici, qui visto come fondatore di un modello ecdotico alternativo alla critica del testo occidentale. Il basso continuo che soggiace, più o meno percepibile, all'intera narrazione è il complesso e delicato rapporto fra ricerca umanistica - nel caso specifico linguistica e filologica - e potere, fra ideologia e scienza, fra libertà del singolo individuo e presunte o reali esigenze della collettività.